TikTok, dipendenza, dopamina e altri demoni

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L’essere umano è programmato per essere “dipendente”. Sin dal primo attimo di vita del bambino, questo è necessariamente dipendente dalla madre o da altro/a Cargiver da cui ottiene cura e protezione. L’attaccamento nei confronti delle persone vicine al neonato si sviluppa prima in modo non selettivo (0-2 mesi) e successivamente (2-7 mesi) in misura maggiore verso il Cargiver primario. Questo prosegue senza alcun episodio di ansia da separazione che arriva con l’attaccamento specifico (7-24 mesi) manifestato con comportamenti locomotori volti al mantenimento del contatto con il Cargiver primario.

Durante tutta la fase di crescita, le emozioni fungono da sistema regolatorio del comportamento: paura per un suono forte ed improvviso, felicità per un regalo inaspettato. Inizialmente le emozioni sono sfumate e non controllate ma con l’aumentare delle interazioni sociali e con l’ambiente, l’individuo riesce ad acquisire la “competenza emotiva” costituita dalla capacità di esprimere emozioni, di comprenderle e di regolarle. Il processo di consapevolezza emotiva non ha termine ma si stabilizza con l’inizio dell’età adulta.

Contestualmente al rafforzamento dell’attaccamento verso il principale Caregiver ed allo sviluppo della propria consapevolezza emotiva, il bambino proverà un istinto sempre più forte all’esplorazione del mondo circostante, ai rapporti sociali, al distacco dalle proprie certezze. In questo altalenare tra il proprio confort e i misteri della vita, mediato sempre dalle emozioni, vi è il segreto della costruzione del sè, della propria autostima e della capacità di affrontare il mondo.

Quando, durante il proprio sviluppo, la complessità delle sfide da affrontare è particolarmente impegnativa, unita magari ad un ambiente sociale e/o familiare problematico, il rischio di cadere vittima di una dipendenza è particolarmente significativo. Quando la dipendenza assume i connotati di una ricompensa facile da ottenere, gratuita e soprattutto socialmente accettata e molte volte pretesa, ci troviamo di fronte ad una potenziale “addiction” pandemica.

La dipendenza patologica è legata al vincolo che l’individuo ha con quella sostanza o con quel comportamento: quando questo diventa compulsivo, inteso come “coazione a ripetere”, dove il bisogno sostituisce il desiderio e l’azione toglie la creatività e l’impossibilità di gustare anche la noia e la solitudine, allora siamo di fronte ad una dipendenza.

Nel caso in questione, il cosiddetto “craving” è un bisogno intenso di compiere una determinata azione “che fa stare meglio”, attivata da un segnale (trigger) che può essere aspecifico, come il tempo intercorso dall’ultima azione o specifico come ad esempio la vista di un mazzo di carte per un ludopatico.

Dal punto di vista neurobiologico, il craving coinvolge circuiti neurali complessi nel cervello, come il sistema di ricompensa (che include l’area tegmentale ventrale e il nucleo accumbens) e l’ippocampo (coinvolto nella memoria) causando la liberazione di neurotrasmettitori come la dopamina complice della sensazione di piacere e gratificazione Questi circuiti interagiscono con altre regioni cerebrali coinvolte nel controllo degli impulsi e nella regolazione delle emozioni.

L’addiction pandemica legata all’abuso dei social network trova la sua origine nel sistema di rinforzo intermittente positivo illustrato la prima volta nel 2016 da Tristan Harris, ex software designer di Google in un suo lungo saggio. “Apro la mia bacheca e trovo un like o un commento che provoca una scarica di dopamina e mi fa stare bene. Non so quando questo riaccadrà nuovamente quindi sono tentato continuamente a visualizzare la mia bacheca per reiterare la mia gratificazione.”

PRIMO DEMONE – TikTok è riuscito, grazie al suo algoritmo ed alla sua UI (User Interface), a rendere ancora più efficace questo meccanismo legandolo non più ad una azione proattiva di qualche utente (il like o il commento) ma alla ricompensa da contenuto. L’utente effettua lo scrolling del suo feed (proprio come in una slot machine) e riceve gratificazione dal contenuto che si aspettava di trovare. Questo capita in modo randomico replicando il meccanismo descritto sopra. Qui un bel documento sulla necessità di maggiori approfondimenti: TikTok and public health: a proposed research agenda (bmj.com)

SECONDO DEMONE – Al meccanismo da slot machine aggiungiamo quanto previsto da Neil Postman nel suo libro Amusing Ourselves to Death del 1985 con la teoria del rapporto tra informazioni ed azioni. In breve, Postman sostiene che mentre in passato la stragrande maggioranza delle informazioni che ricevevamo era funzionale e riguardava il contesto individuale e influenzava le nostre azioni successive, ora siamo inondati di “informazioni prive di contesto”, il cui unico scopo è soddisfare i nostri interessi e curiosità.

Questo afflusso quotidiano di informazioni in gran parte inutili, sebbene forse coinvolgente e divertente, può portare a un senso di “diminuita capacità sociale e politica”. In altre parole, dal momento che non siamo in grado di agire sulla maggior parte delle informazioni con cui ci confrontiamo su TikTok e siti di social media comparabili, ci sentiamo impotenti e sopraffatti.

Non è un caso che i video più virali sulla piattaforma siano semplici, facilmente replicabili e completamente inutili (nell’accezione fattuale del termine).

Terzo ed ultimo DEMONE legato all’uso della piattaforma è che i due terzi degli utenti sono minorenni che, come abbiamo visto prima, sono in una fase costruttiva della loro persona con una consapevolezza emotiva e del sè ancora instabile. Riconoscere a 13 anni la differenza tra un’emozione scaturita da un evento reale rispetto a quella generata da un video può essere molto più complicato rispetto a quanto potrebbe fare un adulto.

Tanto per lasciare qualche consiglio da salotto, aderisco a quanto dice la gran parte degli psicologi oggi: dovremmo vietare l’uso di TikTok ai bambini al di sotto dei 13 anni, anche perchè lo prevede la legge e dovremmo limitarne l’uso a non più di 1 ora al giorno (in totale, tra tutte le piattaforme di social networking) agli utenti con un età compresa tra i 13 e i 18 anni. Inoltre si dovrebbe iniziare ad affrontare nelle scuole di ogni ordine e grado in modo serio, professionale ed inclusivo, tematiche di questo tipo non limitandosi a seminari di 1 ora sui generici rischi derivanti dalla frequentazione del WWW.

Ovviamente anche gli adulti non sono indenni ai tre demoni descritti sopra. Potrebbe essere significativo compiere un’azione tanto semplice quanto temutissima dalle piattaforme: disattivare tutte le notifiche dei social network. Queste, infatti, agiscono come trigger per l’azione compulsiva di visualizzazione del feed. Toglietele ed il cambiamento sarà così importante che non le rimetterete mai più.

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